“…Nel nome del Signore, andate in pace!” Sono io a non essere in pace, al termine della messa. Mentre distribuivo la comunione ai fedeli ho visto entrare in Chiesa un tizio, un viso losco ed assai poco raccomandabile. Sguardo tetro e sospettoso, aspetto dimesso, aria da malvivente. Si è aggirato tra i banchi, facendo arricciare il naso delle vecchiette, per un inequivocabile lezzo di stantio. “Che vorrà costui? Soldi? Purché se ne vada presto gli darò una manciata di euro. Vorrà rubare dalle cassette delle offerte? Purché non le distrugga, lasceremo fare… Farà del male a qualcuno? Speriamo di no…” Rientro in sagrestia, con questo tumulto di pensieri che mi martellano nella mente e mi fanno accelerare la frequenza cardiaca. Tolgo la casula, la ripongo nell’armadio dei paramenti, mi giro un attimo ed ecco la losca figura comparire sulla porta della sagrestia. Non ho scampo. Il sacrista è uscito. L’unica porta è occupata da questo mastino. “Ho fretta, mi scusi, devo andare a portare la comunione ai malati…” sussurro, evidentemente messo sotto scacco dalla sua imponenza. “Padre, solo una cortesia le chiedo. Vorrei chiedere il perdono di Dio!” Colpito al cuore… Che faccio? Non posso rifiutare un penitente. Non l’ho mai fatto per nessuna ragione. Non deve succedere… anche se immagino che questa sia una buona scusa per giungere ad altro. “Padre, non sono degno di stare in piedi, mi consenta di mettermi in ginocchio. Sono un peccatore…” “Figliolo, tutti siamo peccatori”, fingo disinvoltura. “Padre, ho fatto l’esperienza del male. Ho compiuto tanto male. Alla mia famiglia. Ad altre persone, ad altre famiglie”. Gli afferro una mano per aiutarlo a rialzarsi e per condurlo nel confessionale, in modo che nessuno possa sentire la confessione. “Padre, non stringa la mia mano con la sua mano consacrata. Non lo merito. Queste mani grondano sangue… “
Quelle parole hanno toccato il mio cuore. E’ sparita la paura. L’ho guardato con tenerezza. Mi sentivo abitato dalla misericordia stessa di Dio. Sentivo che in quel momento non ero più io a parlare. L’ho accompagnato, mantenendo il volto sereno e disteso, nel confessionale. Non avevo più paura… Dio stava lavorando in quel cuore. Ed io ero chiamato ad essere canale della misericordia del Padre. La confessione è stata lunga, intensa. “Io ti assolvo…” Sentivo il peso di quelle parole, il peso della mano che può ridonare novità di vita a chi ha toccato davvero il fondo. Sentivo il dono della misericordia divina fluire attraverso la mia mano. In silenzio, si rialza. Esce dal confessionale, mi aspetta fuori. “Padre, grazie!” E qui mi abbracciò. Un pianto irrefrenabile sgorgò dai suoi occhi. Un pianto di liberazione, che bagnò la stola e la giacca che indossavo. “Dio grande e buono! Che ho mai fatto io, servo inutile, pastore sonnolento, perché Voi mi chiamaste a questo convito di grazia, perché mi faceste degno d’assistere a un sì giocondo prodigio!” Queste parole, dette dal Cardinale Federigo all’Innominato, nel racconto della conversione, mi tornarono alla mente. Davvero era un convito di grazia! “Dio – ripresi a dire a quell’uomo – ti aspetta adesso!” “Dove, Padre?” “Ti aspetta per le strade. Dove hai seminato tanto male, ti aspetta per seminare tanto bene. Ti aspetta, perché solo tu puoi dargli davvero gloria! Dio vuol dimostrare attraverso di te che l’amore vince tutto, l’amore scioglie anche i cuori più induriti. Chi si lascia raggiungere dalla grazia, diventa un uomo nuovo!” “Che posso fare adesso?” “Vai e dove puoi ripara il male compiuto. Vai e difendi la vita. Vai e sii vicino ai poveri. Vai ed annuncia la misericordia che Dio ha avuto verso di te!”