Nella piazza di Marano si possono chiaramente vedere due chiese addossate l’una all’altra: la nuova grande parrocchiale, col suo cupolone, appoggiata al fianco della chiesa settecentesca, oggi inagibile: per i maranesi sono sempre state “la cesa vècia” e “la cesa nòa” (la chiesa vecchia e la chiesa nuova).
Nel volume “Marano di Valpolicella” troviamo la notizia che una chiesa, forse una chiesetta o una cappella, esisteva almeno dagli inizi del Quattrocento ed è stata tracciata, per sommi capi e per fonti documentarie, la storia della parrocchia le di Marano.
È interessante tuttavia aggiungere a questa storia qualche altro tassello, andando alla ricerca non solo di documenti, ma anche di ciò che di quella chiesa sei/settecentesca è giunto fino a noi.
Nel 1605 il delegato del vescovo Alberto Valier2, monsignor Marcello Carlotti, visita Marano e scrive chiaramente che la chiesa è piccola, mal tenuta, vecchia e che deve essere riedificata. Egli riferisce poi che gli abitanti sono circa 800 e annota che la chiesa è dedicata ai santi Pietro e Paolo, mentre spesso nei documenti sei e settecenteschi essa viene sempre detta “San Pietro di Maran”.
1.1 La chiesa seicentesca
Sul retro della chiesa settecentesca c’è una lapide, quasi nascosta, che ricorda un lavoro fatto dal parroco don Girolamo Alessandri, il quale resse la parrocchia dal 1618 al 1630; un intervento realizzato forse proprio a seguito delle raccomandazioni del vescovo Valier attraverso il suo visitatore Carlotti. La lapide recita: AUCTORE HIERONIMO DE ALEXANDRIS RECTORE HUIUS ECCLESIAE PIORUM ELEMOSINIS, ossia “Autore Girolamo Alessandri rettore di questa chiesa con elemosine delle persone pie”. Entro il 1630 quindi qualche lavoro fu senz’altro fatto, anche se non possiamo stabilirne l’entità.
E infatti nella visita del vescovo Pisani del 1659 non si parla più di una chiesa vecchia e mal tenuta, ma di una chiesa con tre altari di legno (quello del Santissimo Sacramento, quello di san Dionigi e quello della Beata Vergine del Rosario) e con ben due confraternite attive: quella del Santissimo Sacramento e quella del Rosario. Gli abitanti sono scesi però a 510: probabilmente anche a Marano la grande peste del 1630 ha fatto molte vittime.
Sul vecchio altare del Rosario era posta la pala oggi posizionata sopra l’ingresso della nuova parrocchiale: la pala di Francesco Melegatti, databile al 1677-81, che raffigura la Madonna con il Bambino in gloria sulle nubi fra i santi Caterina da Siena e Domenico di Guzman e sotto, da sinistra, i santi Pietro Apostolo, Carlo Borromeo, Nicola di Bari e Vincenzo Ferreri.
Nel 1722 venne costruito, sempre nella chiesa seicentesca oggi perduta, il primo altare di pietra ad opera di Domenico Cecchini di Sant’Ambrogio (detto “il tedesco”), altare che poi fu venduto, a metà dell’Ottocento, alla parrocchia di Viarago (frazione del comune di Pergine Valsugana) dove si trova ancor oggi.
Ultimo elemento superstite del tempio secentesco è un secondo altare marmoreo, sempre opera del Cecchini, dedicato a San Dionigi, costruito nel 1733. Io credo infatti che l’unico altare rimasto parzialmente in piedi nella chiesa settecentesca sia proprio riconducibile a questo San Dionigi del maestro Cecchini, la cui cimasa è smontata, ma ancora conservata.
Per la chiesa secentesca si potrebbe immaginare quindi una chiesa a navata unica, che aveva nel presbiterio l’altare maggiore conservato a Viarago, mentre su di un lato c’era l’altare di San Dionigi e sull’altro lato un altare di legno dedicato alla Vergine del Rosario.
1.2 La chiesa settecentesca
Veniamo ora alla chiesa settecentesca ancora visibile a lato dell’attuale parrocchiale.
Nel 1764 il vescovo Antonio Giustiniani invita la comunità a costruire una nuova chiesa perché quella esistente, oltreché incapace di contenere tutti (la popolazione era di circa 990 abitanti), stava minacciando di cadere. E, proprio pochi anni dopo, la comunità, guidata dal parroco don Domenico Tosoni e da Antonio Lorenzi, affida niente po’ po’ di meno che ad Adriano Cristofoli l’incarico di progettare un rifacimento della chiesa. Antonio Lorenzi con i suoi fratelli era proprietario della villa (oggi Lorenzi – Benati) di Canzago e dell’oratorio di sant’Eustachio di Prognol ed era sicuramente persona molto vicina al parroco di Marano, nonché membro per alcuni anni della fabbriceria parrocchiale. Fu senz’altro lui il tramiteer avere a Marano come architetti, sia il Cristofoli per la chiesa, sia Luigi Trezza per il campanile: ilTrezza stava infatti lavorando negli stessi anni alla facciata della villa di Canzago.
Marano punta sempre in alto, pensa sempre in grande e si rivolge a quello che era forse il maggior architetto del momento a Verona, Adriano Cristofoli, il quale stava lavorando al colonnato del Teatro Filarmonico, visibile ancor oggi all’incrocio tra via Roma e piazza Bra10.
Il Cristofoli affidò il suo progetto al capomastro Giuseppe Paracca e, tra il 1773 e il 1778, i lavori si conclusero donando alla comunità l’edificio visibile ancor oggi, che fu officiato fino al 1921.
Al momento della costruzione della chiesa settecentesca il vecchio campanile venne demolito e, anche in questo caso, Marano scelse per la progettazione del nuovo campanile uno degli architetti più conosciuti a Verona, l’architetto Luigi Trezza (da non confondere col don Trecca che progetterà dopo 150 anni la chiesa nuova). Il nuovo campanile venne innalzato tra il 1792 e il 1793, e fu completato solo nel 1911, quando sarà inaugurato il concerto di campane che risuona dalla cella campanaria.
L. Trezza: progetto nuovo campanile, conservato in archivio parrocchiale.
All’interno della chiesa, terminata nel 1778, fin da subito vi erano quindi l’altare maggiore del Cecchini, di cui si è parlato sopra, insieme con l’altare del Rosario (in legno) e con il marmoreo altare di san Dionigi, sempre opera di Domenico Cecchini.