2.1 Ristrutturazione, ampliamento o una chiesa nuova?
I fatti che riguardano la costruzione della chiesa parrocchiale di Marano di Valpolicella sono ormai nella memoria di pochi, anche se la tradizione orale ha mantenuto vivi nella memoria collettiva dei parrocchiani sia i dubbi che hanno preceduto la sua costruzione, sia le molte vicende legate ai lavori stessi. Attraverso la ricerca d’archivio e la pubblicazione di documenti di 100 anni fa si vuole contribuire a fare luce su quello che i racconti non hanno conservato, ma anche a trasmettere una ricostruzione fedele della storia.
Come detto in precedenza, nei primi anni del‘900, ossia a poco più di un secolo dalla sua costruzione, la chiesa settecentesca dava segni di preoccupante instabilità, per cui il parroco don Giuseppe Galvani cominciò a pensare a un restauro con ampliamento dell’edificio. Ed è proprio una relazione del parroco, conservata nell’archivio parrocchiale,
a fare luce su quanto avvenne.
Don Galvani si reca in Curia preoccupato delle forti crepe esistenti in chiesa. La Curia suggerisce di chiamare un tecnico e la scelta cade sull’ingegner Guido Bosinelli di San Pietro Incariano.
L’ingegnere rimane molto perplesso e preoccupato e consiglia al parroco di invitare il Genio Civile, che manda un proprio ingegnere. Il 12 ottobre 1921 il Genio Civile ordina la chiusura della chiesa, la cui parte superiore è rimasta tale e quale era il giorno della sua chiusura.
Il 23 ottobre il SS.mo Sacramento viene trasportato nel salone dell’asilo e si comincia ad officiare in quel luogo e il 26 ottobre la chiesa settecentesca viene definitivamente chiusa.
Don Galvani lancia subito un’idea: data la necessità di ingrandire la chiesa e non solo di consolidarla, egli propone di abbattere il presbiterio e il coro, trasformando in chiesa la cubatura di queste due aree, per costruire quindi un nuovo presbiterio e un nuovo coro, allungando l’edificio in direzione del cimitero: questo intervento avrebbe dato la possibilità di costruire anche un nuovo oratorioe una nuova sacrestia.
Il parroco cerca anche di verificare la fattibilità finanziaria di tale opera e in pubblica assemblea, il 1° novembre, vorrebbe convincere i suoi fedeli.
Egli riferisce che, contando su un prezzo agevolato delle ore di lavoro e su prestazioni gratuite dei parrocchiani, avendo a disposizione circa 27.000 lire, si sarebbe potuto affrontare il lavoro con tranquillità. Nella prima adunanza i 22 capi famiglia presenti sembrano abbastanza concordi col parroco, c’è però una voce fuori coro: è Luigi Campagnola, detto Bietòn, che suggerisce di fareun semplice restauro della chiesa senza ingrandirla.
Il parroco don Galvani tuttavia non molla e cerca di convincere la popolazione che la cosa migliore sarebbe ingrandire la chiesa. Dopo aver contattato alcuni muratori (Tomasi Giovanni, Marchesini Angelo e Degani Paolo), in una seconda assemblea il 6 novembre, egli presenta ai fedeli due preventivi: il primo di 75.865 lire per il restauro e l’ampliamento, il secondo di 55.900 lire per il solo restauro, schierandosi apertamente per la prima soluzione vista l’esigua differenza tra le due.
Nel suo discorso il parroco afferma che il preventivo tiene conto di giornate di lavoro gratuite e dell’offerta del legname, di cui la parte alta della parrocchia era ricca. Inoltre preavvisa i fedeli che si sarebbe potuto fare un debito, invitandoli a non spaventarsi poiché si sarebbe pagato in poco tempo. In questa occasione nessuno si oppone e l’idea viene approvata a grandissima maggioranza. Don Galvani si dà da fare e organizza delle riunioni in ogni contrada: vengono nominati dei rappresentanti, si comincia a preparare la cava per le pietre, si predispongono i materiali: la calce, il legno, la sabbia e tutto il resto.
L’11 novembre 1921 si riunisce la giunta esecutiva, che, oltre all’approvvigionamento dei materiali, dovrà pensare anche all’organizzazione delle giornate di lavoro gratuite.
Si comincia la cava dei sassi, si affida un incarico ufficiale a don Giuseppe Trecca, il quale, insieme con l’ingegner Bosinelli, predispone il progetto dell’allungamento della chiesa settecentesca.
L’idea trova subito forma e si deposita in Curia un primo progetto: la parte in bianco sarebbe stata la porzione di chiesa da non demolire, mentre laparte più scura sarebbe dovuta essere il nuovo presbiterio con la nuova sacrestia e il nuovo oratorio.
Nei ricordi raccolti da Ettore Lonardi e da Pietro Zardini c’era grande fermento in paese: si aprivano delle cave di sassi sotto il monte Castelòn nella località Castein; si aprivano altre cave proprio sopra il monte Castelòn; si mandarono a prendere dei buoi dalla famiglia Zardini di Porta e altri buoie carri a Sant’Ambrogio, dove erano abituati a spostare blocchi di marmo e pietra.
Si giunse così al febbraio 1922 quando emerse la prima difficoltà: le condizioni contrattuali proposte ai muratori per la demolizione dell’abside della chiesa vecchia non erano soddisfacenti, per tanto si sospesero subito i lavori.
Tuttavia, in una sola settimana, con la tenace guida del parroco don Galvani, si pensò ad una nuova soluzione: il 15 febbraio vennero fermati i lavori; il 17 venne convocata una assemblea con la commissione e i Fabbricieri, infine il 19 venne convocata una nuova assemblea dei capifamiglia.
Si fece strada l’idea di costruire una chiesa completamente nuova; molti fedeli spingevano il parroco a realizzare una chiesa a tre navate, più bassa della precedente, costruita su terreno solido e non
su terreno franoso come accaduto per la chiesa settecentesca.
Oggi, con le conoscenze geologiche che abbiamo e dopo l’enorme intervento di salvataggio delle fondazioni portato a termine negli anni 2016-2017, di cui si dirà in seguito, fa sorridere ciò che don Galvani lasciò scritto nella sua relazione a proposito dei tecnici che valutarono negativamente la scelta del restauro della chiesa settecentesca e spinsero per la costruzione di una chiesa nuova:
“… Questa l’opinione delle persone intelligenti, le quali perciò suggeriscono di portarsi fuori dal terreno franoso e mettersi sul solido…”
Il 19 febbraio 1922 don Galvani tiene un sermone, che è parte della relazione in calce, con il quale riesce a convincere tutti che sarà esigua la differenza di costi tra il fare una chiesa nuova e ampliare la vecchia e, con impeto accorato, muove i fedeli alla convinzione che una chiesa nuova sarà sempre meglio di una vecchia e “rattoppata”.
Si converte quindi la prima decisione e l’assemblea parrocchiale delibera la costruzione di una chiesa nuova.
Il progetto viene affidato ancora una volta a don Giuseppe Trecca e la direzione dei lavori all’ingegner Guido Bosinelli.
2.2 L’inizio dei lavori
Il 27 aprile 1922 vennero fissate le linee genera li dello scavo e il 9 maggio si iniziò l’abbattimento delle piante del così detto brolo. Si concluse il contratto coi muratori e già il 14 maggio si iniziò l’abbattimento del vecchio oratorio.
Pochi giorni dopo, il 23 maggio, l’ingegner Bosinelli rinunciò all’incarico, forse spaventato dal progetto colossale ideato da don Trecca, il quale procurò subito alla parrocchia un nuovo direttore dei lavori, l’ingegner Luigi Marconi di Bussolengo.
Venne preparato un capitolato d’asta per assegnare i lavori, ma alla prima asta solo due ditte parteciparono.
Se ne indisse quindi una seconda e dopo varie valutazioni fatte dal progettista don Trecca, dall’ingegner Marconi e dalla Fabbriceria parrocchiale, il lavoro venne assegnato all’impresa Astori e Cabrini di Verona. Nella foto il progetto originale di don Trecca, conservato nell’archivio storicodiocesano e quello a colori conservato nell’archivio parrocchiale.
Nel luglio 1922, nel lungo discorso alla popolazione, il parroco cerca di mettere a tacere le forti preoccupazioni presenti in paese sul costo di una costruzione così maestosa. Egli cerca di convincere tutti che don Trecca è un professionista affermato e che il preventivo dell’ingegner Marconi di 238.000 lire potrebbe sforare fino anche a 250 mila, ma non di più. Egli afferma di avere a disposizione circa 115 mila lire e in due anni conta di arrivare almeno a 200 mila, lasciando quindi uno scoperto di sole 38 mila lire.
Tuttavia egli sostiene che, se lo scoperto arrivasse anche a 50 mila lire, le buone stagioni di raccolta, le annate favorevoli, la generosità dei parrocchiani, concorreranno alla liquidazione del debito.
Infine egli presenta alla popolazione lo strumento del conto corrente con fido fino a 100 mila lire, con l’intenzione di rivolgersi alla Banca Cattolica, illustrando ai presenti la possibilità di assolvere il debito in 5 o 10 anni. Con la sua dialettica don Galvani cerca di convincere tutti che la parrocchia con le varie raccolte annuali ce la farà. Per il prestito dalla Cassa Rurale o dalla Banca Cattolica, egli chiede già la garanzia di tutti, affermando che, se tutti firmeranno, la copertura che ogni famiglia potrebbe offrire sarebbe di circa 300 lire, una cifra esigua a suo dire. Nel chiudere il suo lungo discorso il parroco invita tutti alla concordia e non perde l’occasione per chiedere subito, a tutti quelli che hanno animali da tiro, di fare qualche viaggio da Prognol per portare materiale verso il cantiere.
Il 2 luglio del 1922 in pubblica assemblea tutto il progetto viene approvato, inclusa l’apertura di un conto corrente con garanzie a scalare a seconda del reddito dei singoli garanti.
Il 13 luglio iniziarono gli scavi per le fondazioni, che furono realizzate in poco meno di due mesi.
E così, spinti dalla fede e dall’ardimento, sotto la guida forte di un parroco determinato a portare a termine l’opera, forse un po’ inconsapevoli di quello a cui andavano incontro, spinti pure dal progetto faraonico di don Trecca, dopo aver completato gli scavi preliminari e dopo aver realizzato la palafitta delle fondazioni, il 24 agosto 1922 alle ore10.45 ebbe inizio la gettata di calcestruzzo.
La vicenda delle fondazioni fu senz’altro il primo vero problema che si dovette affrontare: il terreno su cui ci si era portati per la costruzione del nuovo tempio non era certo solido come ci si attendeva e tutto il legname accumulato per giungere fino al termine dei lavori venne utilizzato per realizzare una vera e propria palafitta di fondazione, cosa che provocò fin da subito lo sforamento del preventivo di spesa.
Il 28 settembre 1922 il Vescovo ausiliare di Verona, monsignor Giordano Corsini, benedì solennemente la prima pietra del nuovo tempio.
2.3 L’inaugurazione
Nonostante la chiesa fosse ancora spoglia, col solo altare maggiore, senza affreschi, senza atrio e con ancora qualche residua impalcatura e i muri al grezzo, essa, come scrisse il Corriere del Mattino, doveva essere inaugurata: lo chiedevano l’ardimento degli uomini che lavorarono all’impresa e l’imponenza dell’edificio.
La festa durò due giorni: nel primo ebbe luogo la vera e propria inaugurazione della chiesa, con messa pontificale e benedizione papale, che vide giungere a Marano una folla immensa da tutti i paesi vicini; presenti tutte le maestranze, tutte le confraternite e associazioni parrocchiali, la Schola Cantorum, la Banda di Negrar, e la festa culminò in un grande spettacolo pirotecnico serale.
Il secondo giorno invece fu una festa più intima, nella quale il Vescovo amministrò il sacramento della Cresima ai ragazzi della parrocchia, una giornata che terminò con una lunga processione eucaristica sugellata dal solenne Te Deum.
Nella minuziosa relazione della festa fatta dal Corriere del Mattino si fa menzione di tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno contribuito all’impresa della costruzione di questo maestoso tempio.