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L’architettura e gli affreschi

3.1 La pianta a croce greca
La chiesa di Marano ha una forma piuttosto in solita rispetto a tutte le altre chiese, forma che si è sempre chiamata “a croce greca”: fatta eccezione per le profondità degli altari, la base dell’edificio è a croce greca. L’altare della Madonna è stato accorciato rispetto al progetto originario per lasciare alle sue spalle lo spazio per l’accesso a quello che sarebbe dovuto essere l’oratorio, mentre l’altare, che inizialmente era il maggiore e che oggi (a seguito dell’adeguamento liturgico) risulta essere quello del Santissimo Sacramento, è stato invece tenuto più profondo per dare spazio alle esigenze liturgiche preconciliari e al coro, attualmente collocato nel cuore dell’edificio. Anche la destinazione degli altari subì una modifica: nel braccio sud, che doveva esse re destinato ai caduti in guerra, venne collocato l’altare di San Giuseppe.
Tuttavia, se da un lato ha sempre colpito la base a croce greca, è spesso sfuggito il senso profondo della struttura basata su otto colonne, sopra le quali si erge una cupola con otto spicchi, una cupola che non è completamente chiusa alla sua sommità, ma che è aperta e coronata da un lanternino. Questo ripetersi del numero otto è un chiaro rimando all’octava dies, cioè al giorno senza tramonto che dovrà seguire i sette della creazione, il giorno che attende tutti noi oltre la morte: un messaggio di grandissima fede nel giorno eterno che scavalca questa vita, l’ottavo giorno, l’eternità.
La cupola con il lanternino: al centro una colomba in ferro battuto, realizzata dal fabbro Lonardi Giacomo.
Ecco perché la cupola non è chiusa, sigillata, ma ha una apertura verso il cielo, ovviamente sormontata da un cupolino protettivo. Il tempio che don Trecca ha disegnato significa proprio che la nostra vita sulla terra è aperta verso il cielo, verso l’ottavo giorno, verso l’eternità.
La stessa suddivisione, già citata più volte, tra la chiesa militante, una vecchia definizione del popolo di Dio in cammino nel mondo, e la chiesa trionfante, ossia coloro che vivono già nella gloria del cielo, è molto chiara: il popolo di Dio si raccoglie nell’interno dell’edificio ancorato alla terra, mentre sopra di esso, proiettati verso il cielo, ci sono gli evangelisti e i santi, con Cristo e la Vergine.

3.2 Gli affreschi di Aldo Tavella
L’opera che Aldo Tavella ha lasciato nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo è una vera e propria catechesi pittorica: sopra l’ingresso La Natività e nella mezzaluna di fondo, dietro il presbiterio, La Crocifissione, quasi a tracciare in un’unica linea
immaginaria l’intera vita di Cristo.
La Natività è una scena intima, ambientata in quello che potrebbe essere uno dei casolari abbandonati che si incontrano nelle campagne maranesi.
Un giovane san Giuseppe, che pare quasi un Gesù adulto, poggia sul suo bastone, mentre la Vergine è nella tipica posa dell’offerta: sta offrendo al mondo il Salvatore, dal quale promana una luce che invade tutta la scena. Un vecchio pastore, accompagnato da due giovanetti, è in adorazione; sullo sfondo un paesaggio medio orientale con altri pastori che accorrono verso la grande luce.
La Crocifissione del Cristo ha luogo sopra il teschio di Adamo, sulla cui tomba, secondo la tradizione, fu posta la croce di Cristo “nuovo Adamo”. Sulla croce si erge il corpo del crocifisso ai cui lati stanno la madre, sorretta da Maria di Cleofa, e Giovanni, mentre ai piedi della croce Maria Maddalena grida il suo dolore. Il cielo è sconvolto da nubi, seguendo il passo evangelico: “Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio”. Sullo sfondo la città di Gerusalemme.
Sulla volta, antistante la Crocefissione, una cetra a simboleggiare quello che in origine era il luogo destinato al coro e alla musica.
Sopra i due altari laterali, sempre nelle mezzelune, le due figure più vicine a Gesù, rispettivamente sua madre Maria nell’Annunciazione, con la scritta AVE GRATIA PLENA DOMINUS TECUM (Ave piena di grazia il Signore è con te), e dall’altro lato Giuseppe nel Transito di San Giuseppecon la scritta PATRONE MORENTIUM ORA PRO NOBIS (Patrono dei morenti prega pernoi).
Nell’Annunciazione, unico affresco contenente la datazione (MCMXLV – 1945), l’angelo giunge da un portico, che molto ricorda i portici di Sottoriva in Verona, e porge alla Vergine un giglio, simbolo di purezza, che sembra aver appena colto tra quelli che sono nel giardino. Maria è intenta allo studio delle Sacre Scritture su di un tipico leggio corale.
Sullo sfondo, un paesaggio verde e collinare che richiama uno dei panorami più tipici della parte alta di Marano: il degradare del Baldo verso il lago di Garda.
Nel Transito di san Giuseppe, scena che sembra collocarsi in un’abitazione medio orientale, separata dall’esterno solo attraverso una tenda, Tavella cambia gli stilemi dell’iconografia tradizionale, che vedono Gesù sorreggere la mano del padre putativo morente, mentre Maria assiste orante. Tavella pone la Vergine a sorreggere la mano di Giuseppe e Gesù, benedicente, ai piedi del letto, mentre Giuseppe porta la mano sinistra sul petto quale gesto di fede di fronte al suo Salvatore.
Alla base della cupola, quasi come colonne portanti della Chiesa, vi sono le figure ieratiche dei quattro evangelisti: Matteo con l’uomo alato (un angelo); Marco con il leone; Luca con il bue e Giovanni con l’aquila, simboli questi già presenti nella visione del trono divino nell’Apocalisse, che poi la tradizione ha voluto abbinare ai quattro evangelisti.
Nei quattro cassettoni che sovrastano l’interno dell’edificio troviamo i Novissimi, cioè le verità “ultime” (morte, giudizio, inferno e paradiso), ciascuna delle quali con una massima che al lettore moderno potrebbe incutere un certo timore.
A simboleggiare la morte vi è un cimitero conle sue tombe, i resti di uno scheletro e l’elemento più caratterizzante dei cimiteri stessi, il cipresso. Sotto la tomba che simboleggia la morte leggiamo NON SAPETE IL GIORNO NÉ L’ORA.
L’immagine è contornata da una delle otto piante della bibbia presenti anche nella cupola.
Nella scena del giudizio Tavella prende come spunto il passo evangelico “Venite, benedetti del
Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo… Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli…”.
Alla destra del Risorto in trono vi è una coppia accolta in paradiso, dipinta con colori sgargianti, su di un suolo fertile e verdeggiante; alla sinistra di Cristo una seconda coppia cacciata verso l’inferno, dipinta con colori spenti, che calpesta un suolo arido, con la figura femminile che si copre il volto come atto di vergogna per la condanna ricevuta.
Ai piedi del dipinto sta l’ammonimento GIUDIZIO SENZA MISERICORDIA A CHI NON L’AVRÀ USATA.
La raffigurazione dell’Inferno segue gli stilemi classici: il demonio, angelo ribelle, si accanisce tra le fiamme sui condannati e la sua forca anziché essere un tridente è quasi una forca da fieno, presa dalla tradizione contadina. Sottole fiamme leggiamo il motto LÀ NON C’È PIÙ REDENZIONE.
Nella scena raffigurante il Paradiso vi è un chiaro rimando alla tradizione dantesca e ai cerchi celesti che conducono a Dio, nei quali gli angeli cantano le sue lodi. Anche questo affresco, come i precedenti, è racchiuso entro una delle otto piante della bibbia che ritroviamo nella cupola.
Sotto il paradiso leggiamo IL PREMIO MAGGIORE È NEI CIELI.
La catechesi pittorica continua anche attraverso piccoli simboli disseminati entro la decorazione della chiesa.
Tra essi, proprio sopra il tabernacolo, al centro della volta, sta un triangolo equilatero che con tiene un occhio: il triangolo equilatero simboleggia l’uguaglianza delle tre Persone della Trinità mentre l’occhio di Dio scruta il cuore dell’uomo per soccorrerlo nei suoi bisogni. Spesso questo simbolo viene detto “l’occhio della Provvidenza sull’uomo”.
Tuttavia la sua collocazione proprio sopra il tabernacolo fa pensare anche ad un ulteriore atto di fede: nell’Eucarestia c’è tutta la Trinità. Una nota merita l’occhio, che pare essere più femminile, che maschile: vi possiamo leggere un riferimento alla maternità di Dio; citando papa Luciani: “Dio è papà; più ancora è madre”.
Nelle quattro volte che precedono i tre altari e l’ingresso sono raffigurate le quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, accompagnate da massime della bibbia, tra le quali quella della temperanza, nelle nostre terre di vino d’eccellenza, fa ancora sorridere.
Per queste virtù leggiamo: SIATE PRUDENTI COME I SERPENTI, BEATO CHI SOFFRE PER LA GIUSTIZIA, RESISTETE FORTI NELLA FEDE e SIATE SOBRII E VIGILANTI.
Per la prudenza Tavella sceglie l’immagine tradizionale del serpente che avviluppandosi evita la freccia; per la giustizia i simboli sono pure classici, la spada e la bilancia, emblemi della forza e dell’imparzialità della giustizia.
Nella rappresentazione classica della fortezza troviamo spesso una donna che tiene a bada un leone, ma qui Tavella sembra prendere il leone stesso a simbolo della fortezza, mentre esce fiero dalle porte di una città.
La temperanza, ossia la capacità di mantenersi entro i giusti limiti, è rappresentata da una brocca che versa vino, come da tradizione pittorica classica.
Tutte le virtù, come i Novissimi, sono contornate da una delle otto piante della bibbia scelte anche per la cupola.
Ma l’invenzione più straordinaria, ideata dall’allora parroco don Galvani e dall’architetto don Giuseppe Trecca, sta forse nell’impianto pittorico della cupola: tra otto piante della Bibbia, sulle quali appaiono, entro dei cartigli, passi delle sacre scritture, sono raccolte tutte le contrade che componevano all’epoca la parrocchia di Marano, simboleggiate dal loro santo patrono.
Sulla quercia campeggia la scritta STERMINERAI IL NEMICO FORTE COME QUERCIA, sul cipresso COME CIPRESSO SUI MONTI DI SION, sulla vite GESÚ È LA VITE NOI I TRALCI, sul melo COME IL MELO TRA GLI ALBERI COSI GESÙ TRA GLIUOMINI, sul pero QUANDO UDRAI RUMORE SULLE CIME DEI PERI COMINCERAI LA BATTAGLIA (l’anno è il 1944, gli echi della guerra si odono anche in queste espressioni); sull’olivo leggiamo VENNE LA COLOMBA PORTANDO UN RAMO D’OLIVO, sulla palma PRESI RAMI DI PALMA GRIDAVANOOSANNA e infine sul cedro IL GIUSTO CRESCERÀ COME CEDRO DEL LIBANO.
Tutte le piante della Bibbia sono rappresenta te con foglie e frutti, ma una di esse contiene un dettaglio significativo, chiaro rimando al periodo storico e alla situazione vissuta dal pittore stesso negli anni della decorazione della chiesa. Sull’ulivo è raffigurata una colomba che tiene nel becco un ramoscello della stessa pianta: questa immagine sembra proprio essere una muta, ma quanto mai eloquente, domanda di pace.
Tra queste piante stanno le figure di Gesù buon Pastore che chiama i piccoli a sé, di san Zeno patrono della Diocesi, della Vergine della Valverde, di San Giorgio che uccide il drago (la sua chiesetta è a Purano), di San Rocco pellegrino (oggi la contrada di San Rocco è parrocchia in dipendente), di Sant’Eustachio, al quale appare il crocefisso tra le corna di un cervo (la sua chiesetta è a Prognol), di San Carlo Borromeo inginocchiato (la sua cappella è a Canzago) e di San Vincenzo Ferreri con il libro aperto e una fiammella
sul capo (a lui è dedicato un capitello appena sopra il paese di San Rocco, a monte Per). Con questo impianto pittorico si voleva significare la comunione che unisce tutte le contrade nell’unica fede e nell’unica comunità.
Degne di attenzione sono le figure dei singoli santi, per le quali Tavella si è ispirato agli stilemi classici dell’iconografia di ciascuno di essi.
Così san Zeno (n. 300c. – m. 371), vescovo moro, è raffigurato in vesti episcopali, dalmatica, casula, mitria e pastorale, al quale è appeso un pesce, antico simbolo di Cristo.
La scena di san Giorgio (n. 275 – m. 303), che uccide il drago in sella ad un cavallo quasi imbizzarrito, ha grande forza e movimento, sottolineato dallo svolazzare del colorato mantello del santo.
San Rocco (n. 1345/50 – m. 1376/79) reca i simboli del pellegrino: cappello, bastone, bisaccia, mantello e conchiglia; ha sulla sua gamba il segno del contagio della peste e ai suoi piedi un cane gli porta un boccone di pane sottratto alla mensa dei ricchi.
Eustachio (m. 118/120) è anch’esso raffigurato in movimento, come si vede dal mantello: il cavallo è spaventato per l’apparire del crocefisso tra le corna del cervo che lui stava inseguendo per la caccia, crocefisso che lo invita alla conversione al cristianesimo. San Carlo Borromeo (n. 1538 – m. 1584), raffigurato senza barba, come nelle rappresentazioni più antiche, è inginocchiato in preghiera davanti ai testi sacri e al crocefisso.
Infine Vincenzo Ferreri o Ferrer (n. 1350 – m. 1419) è anch’esso rappresentato in modo tradizionale con l’abito domenicano, la mano destra alzata nell’atto di predicare la parola di Dio, che tiene salda nella sinistra, ispirato dallo Spirito Santo, simboleggiato dalla fiammella che gli arde sul capo.